La ragade è una lacerazione che si viene a formare all’interno del canale anale, a pochi mm dal margine anale, generalmente in seguito ad un periodo di stipsi con evacuazione di feci dure e asciutte. Anche la diarrea e tutte le condizioni di infiammazione della regione ano-rettale possono favorire la formazione di ragadi.
Si tratta di una patologia molto frequente che secondo recenti statistiche colpisce un individuo su cinque, con prevalenza di giovani adulti che conducono una vita “stressante”; è infatti ben nota la correlazione tra lo stato psicologico del paziente e l’insorgenza della ragade anale.
Sebbene il traumatismo del canale anale rappresenti un evento favorente, il vero meccanismo eziopatogenetico è complesso e comprende fattori multipli.

Alla base della ragade, o quanto meno alla base della persistenza della patologia, vi è infatti il così detto ipertono dello sfintere, ovvero un aumento patologico del tono basale (pressione del muscolo in condizioni di riposo) del muscolo sfintere anale interno. A questo primo evento fa seguito un’alterazione dei riflessi che regolano la defecazione caratterizzata da un mancato rilassamento del canale anale al passaggio delle feci con comparsa di ulteriore contrazione muscolare che rende estremamente difficoltosa l’evacuazione

Si instaura a questo punto un circolo vizioso caratterizzato da Ragade > Ipertono sfinteriale > dolore.

Le cose si complicano ulteriormente quando la ragade si forma a livello della commissura posteriore (porzione posteriore del canale anale) che rappresenta tra l’altro la localizzazione più frequente; tale sede, infatti, è caratterizzata da una scarsa vascolarizzazione con conseguente riduzione della capacità cicatriziale dei tessuti cui fa seguito una cronicizzazione (persistenza) della ragade.

Quali sono i sintomi della ragade?

Il sintomo prevalente di questa patologia è l’intenso dolore anale che viene riferito dal paziente come un bruciore, o un senso di pizzicorio, o sensazione di lacerazione che aumenta durante la defecazione e talvolta diventa ancora più intenso nel periodo post evacuatorio. Ciò fa si che il paziente rimandi il più possibile il momento della defecazione con la conseguenza che le feci diventano ancora più dure e determinano un’ulteriore lacerazione al momento del loro passaggio nel canale anale.

A questo punto il dolore, che può irradiarsi a tutta la regione perineale, al sacro e alla regione scrotale, diventa con il passare dei giorni sempre più duraturo fino a non lasciare riposare il paziente neppure nelle ore notturne. Si associa sempre una perdita di sangue che si può manifestare con banali tracce sulla carta igienica o con uno stillicidio ematico che colora l’acqua del Water.

Terapia

Le attuali linee guida sul trattamento della ragade (vedi linee guida dell’ASCRS: American Society of Colon and Rectal Surgery) riconoscono nella terapia conservativa di tipo farmacologico il primo trattamento da attuare nei pazienti affetti da ragade anale; i farmaci più utilizzati sono rappresentati da nitrati e calcio antagonisti per uso topico.
La percentuale di guarigione con queste terapie è così elevata che si è avuta una riduzione della terapia chirurgica superiore al 50% dei casi.

Bisogna inoltre eseguire un’accurata igiene anale varie volte al giorno, avendo cura di detergere il fondo della ragade e seguire un adeguato regime dietetico, ricco di fibre vegetali, per evitare la stipsi; può essere opportuno assumere integratori per rendere morbide le feci.

E’ possibile associare la terapia con un dilatatore anale che, usato tiepido, è in grado di ridurre l’ipertono del muscolo sfintere interno sfruttando l’effetto meccanico del diametro; il dilatatore inoltre, preventivamente lubrificato con creme cicatrizzanti, ne favorisce il loro trasporto sulla ragade. L’introduzione deve avvenire delicatamente dando il tempo allo sfintere anale di adattarsi al calibro.

La terapia conservativa della ragade anale, come già detto, consente la guarigione in un’elevata percentuale di casi; un requisito fondamentale per il successo terapeutico è rappresentato dalla costanza del paziente che sentirà i benefici già dopo i primi 10 giorni.

Terapia Chirurgica

La terapia chirurgica della ragade anale va riservata ai pazienti in cui dovesse fallire la terapia medica protratta per almeno 6 settimane. Consiste nella rimozione dai bordi della ragade del tessuto cicatriziale che ne impedisce la completa guarigione e nella successiva cauterizzazione della stessa. Si può associare la sezione di una piccola porzione del muscolo sfintere interno (intervento denominato sfinterotomia laterale sinistra) con conseguente riduzione dello spasmo muscolare che sta alla base della sintomatologia dolorosa e che, come già detto, rappresenta sia la causa che la conseguenza della ragade stessa. 

Se condotto da un chirurgo colo-rettale esperto, tale intervento difficilmente può determinare un indebolimento dello sfintere tale da perdere il controllo delle feci o dei gas. Particolare attenzione bisogna porre nel trattamento chirurgico di giovani donne che non abbiano ancora partorito o di donne anziane pluripare che riferiscono alterazione della capacità contrattile sfinteriale.

Una controindicazione importante ad eseguire la sfinterotomia è costituita da pregressi interventi a carico della regione anale

L’intervento può essere condotto ambulatorialmente o con una breve degenza ospedaliera.

La mia opinione

Ritengo che molti pazienti possano guarire con la terapia conservativa (non chirurgica) che dunque deve sempre rappresentare il primo approccio terapeutico.

E’ fondamentale a tal proposito che il paziente venga ben istruito sull’esatta localizzazione della ragade e sulle modalità di detersione affinchè si possano instaurare le condizioni ideali per una guarigione medica. Pratico con molta cautela, e solo quando veramente necessario, l’intervento chirurgico di sfinterotomia laterale sinistra non essendo possibile prevedere quali saranno gli effetti a distanza dell’indebolimento dello sfintere anale.

Infatti bisogna mettere in conto che a distanza di anni, il naturale “invecchiamento” dei tessuti e l’inevitabile perdita di tono a cui il muscolo va incontro, potrebbero risentire della sezione chirurgica di una certa porzione di fibre muscolari.

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